Anatra alla pechinese in un ristorante a Pechino

Cibo in Cina

Cibo in Cina: leggende e realtà.

Abbiamo sentito in questi giorni dichiarazioni sciocche, fuori luogo, offensive, dannose per gli interessi dell’Italia e del Veneto, da parte del presidente della Regione del Veneto sul fatto che i cinesi mangiano “topi vivi” e sono sporchi. Andasse a fare un giro nella metro di Pechino o si ricordasse la leadership cinese nella telefonia 5G.

Purtroppo è lo specchio di una drammatica inadeguatezza culturale a ricoprire un ruolo di leadership in una Regione che vive di esportazioni, parte crescente delle quali ha proprio la Cina come sbocco, anche per il nostro Prosecco.

Regressione dall’uomo alla scimmia.

Andrebbe letto “Cina” di Henry Kissinger per capire come, invece, si dovrebbe fare.

L’approccio USA alla Cina di Deng Xiaoping partì da uno sforzo di comprensione di quel mondo così diverso dall’Occidente, basato su una cultura e civiltà millenarie di cui anche la Cina comunista è permeata.

Difficile pensare che si possa combinare qualcosa di buono partendo da cliché e pregiudizi.

Al solito arroganza e ignoranza vanno di pari passo.

Da Henry Kissinger a Luca Zaia: verrebbe da dire regressione dall’uomo alla scimmia.

Quasi sempre mangiato bene. Spesso molto bene.

Sono stato 2 volte a Pechino. L’ho girata in bicicletta. Mi sono volutamente perso a piedi in cerca di non so cosa. In più di un caso ho scelto del cibo mettendo il dito dove capitava su un menu scritto in cinese visto che nessuno intorno a me parlava una parola di inglese. In altri casi ho scelto con l’occhio senza sapere di preciso di cosa si trattasse.

Sono stato in ristoranti di livello, ho mangiato cibo di strada nella celebre Wangfujing Street, non mi sono fatto mancare uno degli infiniti ristorantini fuori dai giri turistici che trovi dovunque.

C’è una civiltà culinaria importante, ben più ricca della triste caricatura che troviamo in molti ristoranti cinesi in Italia.

Devo dire che quasi sempre ho mangiato bene, spesso molto bene.

Ricordo, tra gli altri l’ottimo ristorante Quanjude in Qianmen street, vicino a Tienanmen: la pasta ripiena era di livello altissimo e non faceva rimpiangere i migliori tortellini italiani.

Certo, la Cina non è solo Pechino o Shenzen o Shangai. E sterminata. Centinaia di milioni di persone fino ad anni recenti hanno avuto il problema della fame e hanno cercato proteine dove c’erano. Non ci si può stupire che, piuttosto di morire di fame, la gente mangiasse quel che c’era come hanno fatto i nostri nonni e bisnonni.

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Reflection of a carnival mask on a glass sphere at Venice carnival 2020

Carnevale di Venezia e coronavirus

carnevale venezia 2020

Se Gabriel García Márquez ha scritto quel grande romanzo che è “L’amore al tempo del colera”, noi ci dobbiamo oggi accontentare de “Il Carnevale di Venezia al tempo del coronavirus”. Stavolta non è un romanzo ma una emergenza vera che speriamo si riesca a controllare e che finisca quanto prima.

Non ci sarà il gran finale in Piazza San Marco che era previsto per martedì 27 febbraio.

I primi casi di infezione anche nel Veneto hanno suggerito prudenza. Sono stati cancellati tutti gli eventi che potrebbero diffondere il virus, tra cui la grande festa del martedì grasso a Venezia.

Puntuale alle 7 del mattino in Piazza San Marco

Sono stato al Carnevale sabato 22, cosa che faccio ormai da 10 anni. Sono puntuale in Piazza San Marco intorno alle sette del mattino per sfruttare la luce più bella e la assenza della massa di turisti che, per fortuna, arriva più tardi.

Maschere capolavoro

Condivido alcune delle foto fatte, al solito coloratissime testimonianze della fantasia che porta decine di persone da tutto il mondo ad investire tempo e denaro per stupire curiosi, turisti e fotografi.

Anche quest’anno ci sono state alcune maschere capolavoro che meritano di essere condivise.

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Beccacce alla Arzignanese

Beccacce alla Arzignanese

Beccacce alla "arzignanese":una ricetta sublime

Sublime significa molto elevato, superiore. Le beccacce cucinate secondo la tradizionale ricetta alla “arzignanese” sono proprio un piatto sublime.

Arzignano ha il merito di aver perfezionato la ricetta delle beccacce allo spiedo facendole diventare la leccornia che oggi conosciamo.

La ricetta delle beccacce alla “Arzignanese”

Le beccacce vanno spennate e frollate a lungo. Vanno tolte le interiora, pulite, rimesse dentro. Infilzate con cura sui ferri dello spiedo dove vengono cotte per 3 ore mezza/4 con fuoco dolce avendo cura di tenerle bagnate con l’olio e mettendo il sale che serve.

Tolte dai ferri dello spiedo, si rimuovono le interiora che vengo mescolate ad olio crudo e limone creando una salsa che serve ad insaporire le beccacce nel frattempo tagliate a metà.

A questo punto non c’è da cucinarle perché sono già cotte, devono solo essere insaporite a fuoco dolcissimo per 30 minuti.

Il rito della cena con le beccacce

Una cena di beccacce è un rito con menù fisso e rigidamente codificato.

Si parte con “Tajadele con l’ovo fate ‘n casa in brodo coi fegadini” (Tagliatelle fatte in casa all’uovo in brodo con i fegatini).

Le beccacce con “Pan moro da pociare in tel tocio” (Pane nero da inzuppare nel sugo di cottura).

Va masticato e succhiato tutto. Il “tocio” (sugo) ha una ricchezza e complessità di sapori e profumi che incanta.

In un piatto a parte, alla fine “radeceto saltà in tecia col lardo e asedo” (radicchietto saltato in padella con lardo e aceto). Scopo: “sgarbarse la boca” (rinfrescarsi la bocca).

Un vino rosso importante e strutturato accompagna la cena. Un Amarone serio è perfetto.

Claudio Caio Chiomento: il master chef delle beccacce

Difficile che un ristorante la proponga: troppo lunga e difficile da preparare.

Un amico, Claudio Caio Chiomento, sa prepararle in modo sopraffino, avendo imparato da Bepi Parise, figlio di quel Parise che avrebbe inventato la ricetta attuale.

Caio ha affinato negli anni la tecnica mantenendo ferma, immobile, la ricetta tramandata. Le cose perfette non vanno cambiate. Potrebbero solo peggiorare.

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Pipe Organ in Royal Opera House in Muscat, Oman

Royal Opera House in Muscat, Oman

RoHM: un regalo del sultano al qaboos

Nei suoi quasi 50 anni di governo, il Sultano Al Qaboos ha trasformato l’Oman da paese arretrato, in larga parte analfabeta, gestito in modo reazionario dal padre da lui deposto con un colpo di Stato incruento, in qualcosa che ha agganciato la modernità e lo sviluppo.

Al Qaboos è mancato nei primi giorni del 2020 ma credo resterà nella memoria e nel cuore dei suoi sudditi per la grande trasformazione che ha guidato.

La Royal Opera House Muscat (in arabo دار الأوبرا السلطانية مسقط) di Mascate (Muscat in inglese) è uno dei suoi lasciti più importanti assieme alla Grande Moschea Al Qaboos. Spesso viene chiamato con semplicemente con l’acronimo ROHM, dalle iniziali del suo nome completo.

È un teatro multiuso situato con una capacità di oltre 1.000 posti costruito tra il 2007 e il 2011 nel quartiere Shati Al-Qurm.

Il complesso è costituito da un teatro per concerti, un auditorium, dei giardini paesaggistici, un mercato culturale con negozi al dettaglio, ristoranti di lusso e un centro d’arte per produzioni musicali, teatrali e operistiche.

Un opulente e sofisticato gioiello

L’opulenza si respira in ogni aspetto: la profusione di marmi pregiati sia all’esterno e all’interno dell’edificio è solo una delle componenti di un così sofisticato gioiello.

Una acustica straordinaria. Un organo a canne movibile che è il secondo più grande al mondo.

Una sofistica soluzione ingegneristica che fa scomparire alcune delle logge e delle prime file di sedie quando serve più spazio per l’orchestra.

Esempio di apertura alle culture del mondo da parte di un paese arabo

Ma a colpire di più, specie il turista occidentale inevitabilmente lambito dai riflessi dei pregiudizi contro la supposta, indistinta, cultura araba e musulmana, è la logica che ha portato Al Qaboos a creare questo centro di cultura.

Come ti spiegano i giovani Omaniti che accompagnano i visitatori del teatro, peraltro con un inglese perfetto anche nella ricchezza delle sfumature del linguaggio, lo scopo è stato quello di consentire agli Omaniti di usufruire di tutte le diverse forme di espressione musicale che possono essere rappresentate provenienti da qualsiasi parte del mondo.

Musica come modo di aprirsi al mondo nelle sue diverse forme. Certo hanno giocato la passione di Al Qaboos per la musica e la sua formazione londinese. Va rimarcato che l’insegnamento che ne ha tratto è che la diversità, a partire dalla musica, è una ricchezza che va condivisa con il suo popolo.

In altri paesi arabi e musulmani le cose sono ben diverse. Constatare questa diversità aiutare a superare tanti pregiudizi nei confronti di culture che è sciocco considerare come un tutt’uno perdendone di vista le differenze.

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Wadi in Al Hajar Mountains

Al Hajar: le montagne nel cuore dell’Oman

Uno dei più bei percorsi per godersi le montagne di Al Hajar in Oman parte da Al Hamra (https://goo.gl/maps/WLLtEdG7CfDEeXJn7) e arriva a Rustaq (https://goo.gl/maps/3TbjPAkVXoEy8kLF9) dopo 80 Km.

Quasi 50 Km sono su strada sterrata con tratti molto impegnativi anche per un’auto 4×4: pendenze importanti, tratti seriamente sconnessi, corsi d’acqua da guadare per chilometri.

Quando piove devi proprio evitare di passarci perché rischi di restare bloccato se non peggio.

In condizioni normali non ci sono pericoli e la strada, seppure sconnessa in più tratti, consente il passaggio di 2 vetture grazie ai tanti slarghi che vi sono.

Trovi anche qualche ciclista attrezzato di tutto punto. Ti chiedi come diavolo faccia a domare un percorso così impegnativo quando anche un passeggero d’auto con stomaco debole può entrare in crisi.

Ne vale comunque la pena.

I paesaggi aspri e brulli che si susseguono mostrano le incantevoli viste scenografiche di vette e vallate del sistema montuoso Al Hajar.

Colori e conformazioni delle rocce cambiano di continuo tanta è la ricchezza geologica di queste montagne.

Le immancabili capre si fanno vedere dovunque, apparentemente libere di brucare dove vogliono a testimonianza di una attività pastorizia che ha contribuito per millenni al sostentamento di chi è vissuto in queste zone così impervie.

Di tanto in tanto vedi qualche abitazione, qualche piccolo villaggio, talora abbandonato, sempre a ridosso di un “wadi” (pronuncia “uadi”), letti di torrente in cui scorre o scorreva un corso d’acqua non perenne come le fiumare nel Sud dell’Italia. Vi sono “wadi” che hanno quasi sempre acqua e diventano luogo di refrigerio durante le caldissime estati e fonte che alimenta le oasi di palme e altra vegetazione.

Dove c’è l’acqua ci sono anche i “falaj”, sofisticato sistema di irrigazione che consente di sfruttare al meglio l’acqua in situazioni così difficili.

Un veloce viaggio di attraversamento in auto consente solo una prima impressione, sufficiente al viaggiatore per impegnarlo con se stesso a tornare per una visita ben più approfondita.

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Presepe tradizionale allestito in un tronco nei boschi di Campodalbero, lungo il percorso dei presepi

I presepi di Campodalbero: un viaggio tra storia, natura e tradizione

Campodalbero: una frazione che resiste al tempo

È difficile dire abbastanza su quanto meriti ammirazione chi si impegna a far rivivere le contrade di Campodalbero, una frazione di Crespadoro in provincia di Vicenza. Sono dieci contrade situate tra i 500 e i 1000 metri di altitudine nell’alta Valle del Chiampo, tra cui Lovati di Sopra e di Sotto, Graizzari di Sopra e di Sotto, Riva, Langari, Rope, Zanconati, Bauci e Lovezzi.

Un territorio dalle radici profonde

Con meno di 30 residenti attuali, circa 3 persone per contrada, le terre di Campodalbero hanno visto generazioni di famiglie sopravvivere a una vita dura, basata su un’agricoltura di montagna che consentiva a malapena la sussistenza. Oggi, molte delle vecchie case dei nonni e bisnonni sono state restaurate per essere usate nei fine settimana, un modo per mantenere vive le radici in una terra che, sebbene matrigna in passato, ora richiama con la sua storia.

L’associazione che guarda al futuro

L’associazione Campodalbero Guarda al Futuro è costituita da giovani che non si rassegnano all’abbandono e organizzano eventi nelle contrade e lungo i 10 chilometri di sentieri che le collegano. Tra queste attività c’è l’annuale percorso dei presepi, che attira visitatori da tutta la provincia.

Il percorso dei presepi: un’esperienza tra arte e spiritualità

Ogni anno, a Natale, le contrade di Campodalbero ospitano l’evento I Sentieri degli Angeli, un percorso che si snoda tra i presepi allestiti lungo i sentieri. Nel 2019, oltre ai presepi, si possono ammirare una cinquantina di tavole raffiguranti angeli, con testi di Bepi De Marzi, autore del celebre canto di montagna Signore delle Cime, presentato per la prima volta 60 anni fa al rifugio Bertagnoli, vicino a Campodalbero.

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Camosci

Cercar marmotte e trovar camosci sull’Altipiano di Asiago

La piacevole sorpresa all’alba sotto il Monte Fior (Altipiano di Asiago)

Capita che passi di lì all’ora giusta e ti trovi 13 camosci che tranquillamente brucano l’erba. Ti vedono ma non sentono il tuo odore perché il vento ti aiuta. Anziché allontanarsi addirittura si avvicinano un po’, capito che non sei una minaccia. Hai quasi un’ora per fare tranquillamente foto (la prima alle 6:22 e l’ultima alle 7:09), nella speranza, vana, che il sole scavalchi la Cima di Monte Fior e crei quella luce calda sul corpo dei camosci che avrebbe trasformato delle belle foto in foto straordinarie. Accontentiamoci così, per ora.

Tutti comincia con una sveglia alle 4:15 del mattino in una giornata di agosto e una buona colazione.

Viaggio in auto dal colle del Gastagh a Malga Slapeur (45°55’12.9″N 11°35’17.3″E), dove arrivi verso le 5:00. In mezzo al silenzio assoluto che c’è in quota a quell’ora, il rumore dell’auto sveglia i malgari che escono con una pila accesa per capire cosa diavolo succeda a quell’ora del mattino.

Capito che si tratta di un matto che sta solo andando a far foto, tornano a letto tranquillizzati.

Intanto i pastori maremmani, lasciati liberi per contrastare i frequenti assalti dei lupi alle pecore della malga, abbaiano a più non posso ma non assalgono l’incauto visitatore.

Prendi il sentiero che porta a Casara Montagna Nova (45°54’35.2″N 11°36’11.7″E), attraverso quel posto incredibile che è la cosiddetta Città di Pietra sotto Monte Fior, con le sue forme modellate dalla natura in migliaia di anni.[/vc_column_text][vc_single_image image=”3704″ img_size=”large” add_caption=”yes”][vc_column_text]Sono appena 2,3 km con un dislivello di poco più di 100 metri.

Sei andato lì per cercare marmotte da fotografare al loro risveglio. Ne vedi solo una che scappa subito prima che tu abbia il tempo di prendere in mano la macchina fotografica.

Il panorama è incredibile con le luci che passano dai colori violacei dell’ora blu ai colori più caldi mano a mano che si avvicina il sorgere del sole.

Cerchi marmotte e trovi camosci

Subito sotto Casara Montagna Nova ricevi in dono la vista di 13 camosci al pascolo che si lasciano fotografare per quasi un’ora.

Rientri verso l’auto a Malga Slapuer dove, dopo un caffè caldo quanto mai necessario ed apprezzato, compri una forma intera di formaggio pecorino stagionato da oltre 3 Kg. Dio abbia un occhio di riguardo per i malgari che producono questi straordinari formaggi di montagna.

Eterogenesi dei fini: cerchi marmotte e trovi camosci. É andata più che bene così.

 

Attrezzatura fotografica: Canon EOS 7D, Obiettivo Canon EF 100-400mm f4.5-5-6L IS II USM

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La Piana di Marcesina 8 mesi dopo l’uragano

Milioni di alberi distrutti

Il 28 ottobre 2018 un uragano ha abbattuto milioni di alberi e distrutto migliaia di ettari di bosco nel Veneto nel vicentino e nel bellunese. Parte di questo disastro della natura si è compiuto sull’Altipiano di Asiago, in provincia di Vicenza. La Piana di Marcesina, tra i comuni di Foza e di Enego,  è stato uno dei vari luoghi colpiti.

Ci vorranno decenni, qualcuno dice quasi in secolo, perché i boschi riacquistino lo splendore che avevano prima dell’uragano e tornino alla vita che avevano.

Ma prima di poter risorgere i boschi chiedono di essere puliti. Va recuperato quanto più legname sia possibile sia per il suo valore economico sia per impedire che marcisca e quindi renda ancor più difficile la lenta rinascita dei boschi.

Il recupero di oltre 600.000 metri cubi di legname è stato appaltato ad inizio 2019 e da mesi sono al lavoro varie squadre di boscaioli con macchinari che rendono possibile grande efficienza nel recupero del legname pregiato.

Girando la Piana di Marcesina, osservando quello che resta dei boschi, ci si rende conto del disastro accaduto, del lavoro enorme che rimane da fare, ma anche del lavoro fatto sedimentato nelle immagini delle enormi cataste di legname ordinatamente accatastato e pronto per essere spedito in tante parti, inclusa la Cina.

Le foto che accompagnano questo post sono state scattate sabato 29 giugno, nel tardo pomeriggio con luce calda in una splendida giornata di sole.

Hanno la sola ambizione di raccontare la storia del disastro naturale dopo otto mesi, mostrare il lavoro che in modo febbrile procede per recuperare quanto più legname possibile, far capire quanto c’è ancora da fare vedendo le distese di alberi nei boschi distrutti.

Quello che resta nella Piana di Marcesina

Girando la Piana di Marcesina, osservando quello che resta dei boschi, ci si rende conto del disastro accaduto, del lavoro enorme che rimane da fare, ma anche del lavoro fatto sedimentato nelle immagini delle enormi cataste di legname ordinatamente accatastato e pronto per essere spedito in tante parti, inclusa la Cina.

Le foto che accompagnano questo post sono state scattate sabato 29 giugno, nel tardo pomeriggio con luce calda in una splendida giornata di sole.

Hanno la sola ambizione di raccontare la storia del disastro naturale dopo otto mesi, mostrare il lavoro che in modo febbrile procede per recuperare quanto più legname possibile, far capire quanto c’è ancora da fare vedendo le distese di alberi nei boschi distrutti.

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Acque del Chiampo

L’acqua che scorre trasmette un senso di rilassatezza e di benessere. Quando a scorrere è l’acqua di un ruscello di montagna, immerso nel verde di una vegetazione lussureggiante, con salti d’acqua sulle rocce e con vere e proprie cascate, allora il piacere trasmesso viene esaltato ancor più.

Catturare le immagini dell’acqua in movimento in modo da fissarne le emozioni provate ammirandole da vivo, non è semplice. Di sicuro perdi i profumi e i rumori del bosco, a partire proprio dal rumore dell’acqua che scende e si frange sui sassi, salta giù fragorosamente dai dislivelli che creano le cascate, indugia di tanto in tanto in qualche anfratto come a riposare un pò.

Il torrente Chiampo non fa eccezione alla regola di tutti i corsi d’acqua di montagna, almeno nella sua parte più alta, da quando sorge vicino a Passo Scagina in alta valle del Chiampo fin giù almeno fino a Ferrazza di Crespadoro passando per le contrade di Campodalbero.

E quello che non fanno le acque del Chiampo lo fanno alcuni dei suoi affluenti sia nella valle che scende da Durlo che quelli che scendono da Campodalbero.

Fotografare l’acqua che scorre spinge a catturarne l’attimo, con tempi di esposizione molto rapidi per immobilizzare la singole goccia. Ma porta anche a creare quell’effetto setoso, con lunghi tempi di esposizione, come se l’acqua si fosse fermata per farmi ammirare meglio e spingerci a rilassarci ancor di più.

E l’acqua poi ha altre forme, oltre a quella liquida, perché diventa vapore, nebbia, foschia oppure diventa ghiaccio.

Queste foto, fatte nel corso degli anni, con attrezzature di varia qualità e con gradi diversi di perizia fotografica, provano a raccontare momenti dello scorrere dell’acqua del Chiampo e dei sui affluenti nelle varie stagioni.

La luce nel bosco spesso è difficile da gestire: molto buio unito a rasoiate di luce di sole che crea contrasti di luce che nessuna macchina fotografica può catturare.

Grazie a qualche software riusciamo a comprimere gamme tonali estese, recuperando dettaglio sia nelle ombre che nelle alte luci.

Arte mimetica per definizione, direbbe il vecchio Platone, imitazione infedele della realtà. Ma che importa se le foto riescono almeno a trasmettere quelle sensazioni di piacere, benessere e rilassatezza, che si sono vissute davanti allo scorrere reale dell’acqua.

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Tonle Sap: il lago nel cuore della Cambogia

Tonle Sap: l'incredibile mutamento nel corso dell'anno

A rendere unico il lago Tonle Sap, nel cuore della Cambogia, è il mutamento cui va incontro durante l’anno.

Il nome significa “Grande fiume dalle acque fresche”, ma viene più comunemente tradotto come “Grande lago”, dato che si riferisce sia al lago vero e proprio che al suo emissario.

Nella stagione secca, il lago ha una superficie di 2.500-3.000 km², che diventano 10.000-20.000 km² nella stagione delle piogge. La profondità passa da 2 metri a 10 metri, creando un fenomeno idrologico unico al mondo.

Le foreste intorno al lago vengono allagate, e le acque dell’emissario vengono riconvogliate all’interno del bacino dall’imponente fiume Mekong.

Il flusso della corrente viene invertito, e una quantità immensa di acqua torna all’interno. Questo processo di inversione del flusso è una caratteristica distintiva del lago Tonle Sap, rendendolo un bacino regolatore essenziale per il Mekong, situato poco a monte del suo delta, impedendo rovinose alluvioni nella stagione delle piogge.

Terreni estremamente fertili grazie alle periodiche inondazioni

Le periodiche inondazioni rendono i terreni circostanti estremamente fertili, favorendo un’intensa agricoltura, in particolare la coltivazione del riso, nelle aree costiere.

Il lago diventa inoltre il luogo ideale per la riproduzione di numerose specie ittiche, creando le condizioni per una pesca abbondante, che alimenta una fiorente industria conserviera. Questo bacino di acqua dolce, il più grande del sud-est asiatico, contribuisce a sfamare oltre 3 milioni di persone, fornendo oltre il 60% delle proteine che alimentano l’intera popolazione cambogiana.

Nel 1997, il lago Tonle Sap è stato dichiarato dall’UNESCO “riserva della biosfera”, riconoscendo così la sua importanza ecologica, economica e culturale. Questa designazione sottolinea il valore del lago come habitat vitale per la fauna selvatica e come fonte cruciale di sostentamento per le comunità locali, evidenziando la necessità di proteggere e preservare questo straordinario ecosistema per le generazioni future.

Riserva della biosfera per l’Unesco

Nel 1997, il lago Tonle Sap è stato dichiarato dall’UNESCO “riserva della biosfera”, riconoscendo così la sua importanza ecologica, economica e culturale. Questa designazione sottolinea il valore del lago come habitat vitale per la fauna selvatica e come fonte cruciale di sostentamento per le comunità locali, evidenziando la necessità di proteggere e preservare questo straordinario ecosistema per le generazioni future.

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