Wadi in Al Hajar Mountains

Al Hajar: le montagne nel cuore dell’Oman

Uno dei più bei percorsi per godersi le montagne di Al Hajar in Oman parte da Al Hamra (https://goo.gl/maps/WLLtEdG7CfDEeXJn7) e arriva a Rustaq (https://goo.gl/maps/3TbjPAkVXoEy8kLF9) dopo 80 Km.

Quasi 50 Km sono su strada sterrata con tratti molto impegnativi anche per un’auto 4×4: pendenze importanti, tratti seriamente sconnessi, corsi d’acqua da guadare per chilometri.

Quando piove devi proprio evitare di passarci perché rischi di restare bloccato se non peggio.

In condizioni normali non ci sono pericoli e la strada, seppure sconnessa in più tratti, consente il passaggio di 2 vetture grazie ai tanti slarghi che vi sono.

Trovi anche qualche ciclista attrezzato di tutto punto. Ti chiedi come diavolo faccia a domare un percorso così impegnativo quando anche un passeggero d’auto con stomaco debole può entrare in crisi.

Ne vale comunque la pena.

I paesaggi aspri e brulli che si susseguono mostrano le incantevoli viste scenografiche di vette e vallate del sistema montuoso Al Hajar.

Colori e conformazioni delle rocce cambiano di continuo tanta è la ricchezza geologica di queste montagne.

Le immancabili capre si fanno vedere dovunque, apparentemente libere di brucare dove vogliono a testimonianza di una attività pastorizia che ha contribuito per millenni al sostentamento di chi è vissuto in queste zone così impervie.

Di tanto in tanto vedi qualche abitazione, qualche piccolo villaggio, talora abbandonato, sempre a ridosso di un “wadi” (pronuncia “uadi”), letti di torrente in cui scorre o scorreva un corso d’acqua non perenne come le fiumare nel Sud dell’Italia. Vi sono “wadi” che hanno quasi sempre acqua e diventano luogo di refrigerio durante le caldissime estati e fonte che alimenta le oasi di palme e altra vegetazione.

Dove c’è l’acqua ci sono anche i “falaj”, sofisticato sistema di irrigazione che consente di sfruttare al meglio l’acqua in situazioni così difficili.

Un veloce viaggio di attraversamento in auto consente solo una prima impressione, sufficiente al viaggiatore per impegnarlo con se stesso a tornare per una visita ben più approfondita.

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Presepe tradizionale allestito in un tronco nei boschi di Campodalbero, lungo il percorso dei presepi

I presepi di Campodalbero: un viaggio tra storia, natura e tradizione

Campodalbero: una frazione che resiste al tempo

È difficile dire abbastanza su quanto meriti ammirazione chi si impegna a far rivivere le contrade di Campodalbero, una frazione di Crespadoro in provincia di Vicenza. Sono dieci contrade situate tra i 500 e i 1000 metri di altitudine nell’alta Valle del Chiampo, tra cui Lovati di Sopra e di Sotto, Graizzari di Sopra e di Sotto, Riva, Langari, Rope, Zanconati, Bauci e Lovezzi.

Un territorio dalle radici profonde

Con meno di 30 residenti attuali, circa 3 persone per contrada, le terre di Campodalbero hanno visto generazioni di famiglie sopravvivere a una vita dura, basata su un’agricoltura di montagna che consentiva a malapena la sussistenza. Oggi, molte delle vecchie case dei nonni e bisnonni sono state restaurate per essere usate nei fine settimana, un modo per mantenere vive le radici in una terra che, sebbene matrigna in passato, ora richiama con la sua storia.

L’associazione che guarda al futuro

L’associazione Campodalbero Guarda al Futuro è costituita da giovani che non si rassegnano all’abbandono e organizzano eventi nelle contrade e lungo i 10 chilometri di sentieri che le collegano. Tra queste attività c’è l’annuale percorso dei presepi, che attira visitatori da tutta la provincia.

Il percorso dei presepi: un’esperienza tra arte e spiritualità

Ogni anno, a Natale, le contrade di Campodalbero ospitano l’evento I Sentieri degli Angeli, un percorso che si snoda tra i presepi allestiti lungo i sentieri. Nel 2019, oltre ai presepi, si possono ammirare una cinquantina di tavole raffiguranti angeli, con testi di Bepi De Marzi, autore del celebre canto di montagna Signore delle Cime, presentato per la prima volta 60 anni fa al rifugio Bertagnoli, vicino a Campodalbero.

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Camosci

Cercar marmotte e trovar camosci sull’Altipiano di Asiago

La piacevole sorpresa all’alba sotto il Monte Fior (Altipiano di Asiago)

Capita che passi di lì all’ora giusta e ti trovi 13 camosci che tranquillamente brucano l’erba. Ti vedono ma non sentono il tuo odore perché il vento ti aiuta. Anziché allontanarsi addirittura si avvicinano un po’, capito che non sei una minaccia. Hai quasi un’ora per fare tranquillamente foto (la prima alle 6:22 e l’ultima alle 7:09), nella speranza, vana, che il sole scavalchi la Cima di Monte Fior e crei quella luce calda sul corpo dei camosci che avrebbe trasformato delle belle foto in foto straordinarie. Accontentiamoci così, per ora.

Tutti comincia con una sveglia alle 4:15 del mattino in una giornata di agosto e una buona colazione.

Viaggio in auto dal colle del Gastagh a Malga Slapeur (45°55’12.9″N 11°35’17.3″E), dove arrivi verso le 5:00. In mezzo al silenzio assoluto che c’è in quota a quell’ora, il rumore dell’auto sveglia i malgari che escono con una pila accesa per capire cosa diavolo succeda a quell’ora del mattino.

Capito che si tratta di un matto che sta solo andando a far foto, tornano a letto tranquillizzati.

Intanto i pastori maremmani, lasciati liberi per contrastare i frequenti assalti dei lupi alle pecore della malga, abbaiano a più non posso ma non assalgono l’incauto visitatore.

Prendi il sentiero che porta a Casara Montagna Nova (45°54’35.2″N 11°36’11.7″E), attraverso quel posto incredibile che è la cosiddetta Città di Pietra sotto Monte Fior, con le sue forme modellate dalla natura in migliaia di anni.[/vc_column_text][vc_single_image image=”3704″ img_size=”large” add_caption=”yes”][vc_column_text]Sono appena 2,3 km con un dislivello di poco più di 100 metri.

Sei andato lì per cercare marmotte da fotografare al loro risveglio. Ne vedi solo una che scappa subito prima che tu abbia il tempo di prendere in mano la macchina fotografica.

Il panorama è incredibile con le luci che passano dai colori violacei dell’ora blu ai colori più caldi mano a mano che si avvicina il sorgere del sole.

Cerchi marmotte e trovi camosci

Subito sotto Casara Montagna Nova ricevi in dono la vista di 13 camosci al pascolo che si lasciano fotografare per quasi un’ora.

Rientri verso l’auto a Malga Slapuer dove, dopo un caffè caldo quanto mai necessario ed apprezzato, compri una forma intera di formaggio pecorino stagionato da oltre 3 Kg. Dio abbia un occhio di riguardo per i malgari che producono questi straordinari formaggi di montagna.

Eterogenesi dei fini: cerchi marmotte e trovi camosci. É andata più che bene così.

 

Attrezzatura fotografica: Canon EOS 7D, Obiettivo Canon EF 100-400mm f4.5-5-6L IS II USM

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La Piana di Marcesina 8 mesi dopo l’uragano

Milioni di alberi distrutti

Il 28 ottobre 2018 un uragano ha abbattuto milioni di alberi e distrutto migliaia di ettari di bosco nel Veneto nel vicentino e nel bellunese. Parte di questo disastro della natura si è compiuto sull’Altipiano di Asiago, in provincia di Vicenza. La Piana di Marcesina, tra i comuni di Foza e di Enego,  è stato uno dei vari luoghi colpiti.

Ci vorranno decenni, qualcuno dice quasi in secolo, perché i boschi riacquistino lo splendore che avevano prima dell’uragano e tornino alla vita che avevano.

Ma prima di poter risorgere i boschi chiedono di essere puliti. Va recuperato quanto più legname sia possibile sia per il suo valore economico sia per impedire che marcisca e quindi renda ancor più difficile la lenta rinascita dei boschi.

Il recupero di oltre 600.000 metri cubi di legname è stato appaltato ad inizio 2019 e da mesi sono al lavoro varie squadre di boscaioli con macchinari che rendono possibile grande efficienza nel recupero del legname pregiato.

Girando la Piana di Marcesina, osservando quello che resta dei boschi, ci si rende conto del disastro accaduto, del lavoro enorme che rimane da fare, ma anche del lavoro fatto sedimentato nelle immagini delle enormi cataste di legname ordinatamente accatastato e pronto per essere spedito in tante parti, inclusa la Cina.

Le foto che accompagnano questo post sono state scattate sabato 29 giugno, nel tardo pomeriggio con luce calda in una splendida giornata di sole.

Hanno la sola ambizione di raccontare la storia del disastro naturale dopo otto mesi, mostrare il lavoro che in modo febbrile procede per recuperare quanto più legname possibile, far capire quanto c’è ancora da fare vedendo le distese di alberi nei boschi distrutti.

Quello che resta nella Piana di Marcesina

Girando la Piana di Marcesina, osservando quello che resta dei boschi, ci si rende conto del disastro accaduto, del lavoro enorme che rimane da fare, ma anche del lavoro fatto sedimentato nelle immagini delle enormi cataste di legname ordinatamente accatastato e pronto per essere spedito in tante parti, inclusa la Cina.

Le foto che accompagnano questo post sono state scattate sabato 29 giugno, nel tardo pomeriggio con luce calda in una splendida giornata di sole.

Hanno la sola ambizione di raccontare la storia del disastro naturale dopo otto mesi, mostrare il lavoro che in modo febbrile procede per recuperare quanto più legname possibile, far capire quanto c’è ancora da fare vedendo le distese di alberi nei boschi distrutti.

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Acque del Chiampo

L’acqua che scorre trasmette un senso di rilassatezza e di benessere. Quando a scorrere è l’acqua di un ruscello di montagna, immerso nel verde di una vegetazione lussureggiante, con salti d’acqua sulle rocce e con vere e proprie cascate, allora il piacere trasmesso viene esaltato ancor più.

Catturare le immagini dell’acqua in movimento in modo da fissarne le emozioni provate ammirandole da vivo, non è semplice. Di sicuro perdi i profumi e i rumori del bosco, a partire proprio dal rumore dell’acqua che scende e si frange sui sassi, salta giù fragorosamente dai dislivelli che creano le cascate, indugia di tanto in tanto in qualche anfratto come a riposare un pò.

Il torrente Chiampo non fa eccezione alla regola di tutti i corsi d’acqua di montagna, almeno nella sua parte più alta, da quando sorge vicino a Passo Scagina in alta valle del Chiampo fin giù almeno fino a Ferrazza di Crespadoro passando per le contrade di Campodalbero.

E quello che non fanno le acque del Chiampo lo fanno alcuni dei suoi affluenti sia nella valle che scende da Durlo che quelli che scendono da Campodalbero.

Fotografare l’acqua che scorre spinge a catturarne l’attimo, con tempi di esposizione molto rapidi per immobilizzare la singole goccia. Ma porta anche a creare quell’effetto setoso, con lunghi tempi di esposizione, come se l’acqua si fosse fermata per farmi ammirare meglio e spingerci a rilassarci ancor di più.

E l’acqua poi ha altre forme, oltre a quella liquida, perché diventa vapore, nebbia, foschia oppure diventa ghiaccio.

Queste foto, fatte nel corso degli anni, con attrezzature di varia qualità e con gradi diversi di perizia fotografica, provano a raccontare momenti dello scorrere dell’acqua del Chiampo e dei sui affluenti nelle varie stagioni.

La luce nel bosco spesso è difficile da gestire: molto buio unito a rasoiate di luce di sole che crea contrasti di luce che nessuna macchina fotografica può catturare.

Grazie a qualche software riusciamo a comprimere gamme tonali estese, recuperando dettaglio sia nelle ombre che nelle alte luci.

Arte mimetica per definizione, direbbe il vecchio Platone, imitazione infedele della realtà. Ma che importa se le foto riescono almeno a trasmettere quelle sensazioni di piacere, benessere e rilassatezza, che si sono vissute davanti allo scorrere reale dell’acqua.

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Tonle Sap: il lago nel cuore della Cambogia

Tonle Sap: l'incredibile mutamento nel corso dell'anno

A rendere unico il lago Tonle Sap, nel cuore della Cambogia, è il mutamento cui va incontro durante l’anno.

Il nome significa “Grande fiume dalle acque fresche”, ma viene più comunemente tradotto come “Grande lago”, dato che si riferisce sia al lago vero e proprio che al suo emissario.

Nella stagione secca, il lago ha una superficie di 2.500-3.000 km², che diventano 10.000-20.000 km² nella stagione delle piogge. La profondità passa da 2 metri a 10 metri, creando un fenomeno idrologico unico al mondo.

Le foreste intorno al lago vengono allagate, e le acque dell’emissario vengono riconvogliate all’interno del bacino dall’imponente fiume Mekong.

Il flusso della corrente viene invertito, e una quantità immensa di acqua torna all’interno. Questo processo di inversione del flusso è una caratteristica distintiva del lago Tonle Sap, rendendolo un bacino regolatore essenziale per il Mekong, situato poco a monte del suo delta, impedendo rovinose alluvioni nella stagione delle piogge.

Terreni estremamente fertili grazie alle periodiche inondazioni

Le periodiche inondazioni rendono i terreni circostanti estremamente fertili, favorendo un’intensa agricoltura, in particolare la coltivazione del riso, nelle aree costiere.

Il lago diventa inoltre il luogo ideale per la riproduzione di numerose specie ittiche, creando le condizioni per una pesca abbondante, che alimenta una fiorente industria conserviera. Questo bacino di acqua dolce, il più grande del sud-est asiatico, contribuisce a sfamare oltre 3 milioni di persone, fornendo oltre il 60% delle proteine che alimentano l’intera popolazione cambogiana.

Nel 1997, il lago Tonle Sap è stato dichiarato dall’UNESCO “riserva della biosfera”, riconoscendo così la sua importanza ecologica, economica e culturale. Questa designazione sottolinea il valore del lago come habitat vitale per la fauna selvatica e come fonte cruciale di sostentamento per le comunità locali, evidenziando la necessità di proteggere e preservare questo straordinario ecosistema per le generazioni future.

Riserva della biosfera per l’Unesco

Nel 1997, il lago Tonle Sap è stato dichiarato dall’UNESCO “riserva della biosfera”, riconoscendo così la sua importanza ecologica, economica e culturale. Questa designazione sottolinea il valore del lago come habitat vitale per la fauna selvatica e come fonte cruciale di sostentamento per le comunità locali, evidenziando la necessità di proteggere e preservare questo straordinario ecosistema per le generazioni future.

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Gole di Tolmin

Le Gole di Tolmin e i ricordi di papà e suocero

Quante volte ho sentito parlare da mio padre di Tolmino. Aveva fatto lì il militare in un’altra era e in un altro mondo. Era il 1930 è Tolmino era ancora in Italia come lo era Caporetto luogo della drammatica disfatta dell’esercito Italiano nel 1917, che lì vicino a 16 chilometri.

Anche in quegli anni l’etnia prevalente era quella slovena, ma era comunque territorio italiano.

Anche il papà di mia moglie ha fatto il militare a Tolmino, giusto 10 anni dopo, a partire dal 1940.

All’ingresso in guerra dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, nel 1941, venne trasferito direttamente da lì al fronte.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale quella zona è diventata parte di quella che fu la Jugoslavia e, dopo la sua dissoluzione negli anni ’90, è oggi parte della Slovenia.

M’è sembrato giusto andarci, per capire se e cosa sia rimasto dei tempi andati e per provare a respirarne, nel caso, il clima. 

 

L’impressione dopo un paio d’ore di visita è che non sia rimasto nulla di nulla. La storia di tante parti d’Europa è la storia di città e regioni passate nel corso del tempo da uno Stato all’altro, con il cambio di culture dominanti, di lingua e, talvolta, anche di religione.

Tolmino è solo un piccolo caso tra i tanti e neppure tra i più rilevanti di questi cambiamenti radicali.

Il nome in sloveno oggi è Tolmin (in friulano Tulmin, in tedesco Tolmein), così come Caporetto è diventata Kobarid (in friulano Cjaurêt, in tedesco Karfreit).

I nomi seguono le cose. Non pare esserci traccia della precedente presenza italiana. Non parliamo delle caserme che oltre 80 anni fa hanno ospitato mio padre e mio suocero.

È un piccolo paesotto di 12.000 anime abitato da sloveni che parlano la loro lingua ma non l’Italiano.

Invece tutte le persone incontrate, forse è un caso forse no, parlavano un ottimo inglese sia che si trattasse di giovani che di persone di mezza età.

Tolmino è brutto, con edifici nel centro del paese proprio brutti, della peggior architettura anonima che si possa immaginare.

Mi ha colpito il contrasto tra la bruttezza architettonica e la ottima padronanza dell’inglese delle persone incontrate unita a una generale gentilezza, disponibilità, simpatia.

 

L’attrazione principale di Tolmin oggi sono le Gole di Tolmin, all’interno del Parco Nazionale di Triglav.

Uno spettacolo della natura tra rocce, acque impetuose dai colori sovrannaturali, piante, fiori, cascate, grotte profonde.Basta un’ora di trekking leggero per provare questo piacere e pensare, melanconicamente, che questa sarebbe potuta essere ancora Italia.

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Flower at Parco Giardino Sigurtà

Fiori, fiori e ancora fiori al Parco Sigurtà

Le foto di fiori non sono in genere molto considerate come fotografie che qualificano un fotografo. I siti di micro-stock dissuadono dall’inviarne: troppo facili da fare e ce ne sono troppe di già pubblicate.

Capita però di passare al Parco Giardino Sigurtà a Valeggio sul Mincio in Provincia di Verona, nel mese di aprile quando i 60 ettari di parco naturalistico diventano un festival di tulipani di tutti i colori. Da maggio partirà poi la stagione delle rose che si protrarrà fino a tutta l’estate.

Per quanto ti abbiano sempre detto quanto banale sia fotografare i fiori, non riesci a resistere e fotografi ogni aiuola, ogni angolo, ammaliato dai colori che una natura antropizzata ti trasmette.

Sì, perché di naturale inteso come “selvaggio” non c’è proprio nulla. C’è la straordinaria cultura botanica dell’uomo e una cura che seleziona di continuo nuove specie di fiori per trasmettere piacere ed emozioni.

Allora le foto diventano un riconoscimento al lavoro di chi ha creato i diversi tipi di tulipano e li ha disposti nelle aiuole del parco in modo da trasmettere sensazioni piacevoli di serenità e rilassatezza.

La molteplicità dei colori e delle forme parla da sola. Al fotografo rimane solo di darne cronaca con la giusta dose di ammirazione per il lavoro fatto dai botanici e giardinieri.

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Burano

Burano: l’isola colorata di Venezia

A poco più di mezz’ora di vaporetto dalla fermata Fondamenta Nove, Burano è il piccolo centro che sorge su quattro isolette della laguna settentrionale di Venezia.

Burano è noto anzitutto per le sue tipiche case vivacemente colorate e per la secolare lavorazione artigianale ad ago del merletto di Burano.

Vi sono vari ottimi ristoranti di pesce. La tradizione gastronomica è completata dai dolcetti secchi locali, i “bussolai”.

Per quante volte lo si visiti, non si riesce a resistere alla tentazione di fotografare, ancora una volta, gli stessi luoghi trovando ogni volta luci e sensazioni diverse.

Queste foto di marzo 2019 sono, per ora, la versione aggiornata di immagini e sensazioni che sembrano ogni volta diverse.

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Preah Khan

Tempio di Preah Khan

L’attuale area dei templi di Angkor è stata la capitale dell’impero Khmer che ha esercitato il suo potere su un’area molto estesa della penisola indocinese per centinaia d’anni.

Oggi rimane uno sterminato parco archeologico, patrimonio dell’UNESCO, con centinaia (sì, proprio centinaia) di templi.

Il parco archeologico dove si trovano i templi di Angkor si trova in una grande pianura alluvionale tra il lago Tonle Sap ed i monti del Phnom Kulen, che si estendono per circa 400 chilometri quadrati.

 

Lo stato di conservazione dei templi è molto differenziato ma la magia che trasmettono, e la percezione della straordinaria civiltà che li ha prodotti, colpiscono al cuore il visitatore appena attento ad opere incredibili dell’ingegno umano.

Per una civiltà che allora come oggi era basata sulla agricoltura, con le tipiche stagioni monsoniche ricche di pioggia per metà parte dell’anno e senza piogge per la parte restante, il governo delle acque era la cosa più importante per garantire la coltura del riso e la vita delle persone.

 

Il tempio più famoso è certamente quello di Angkor Wat che unisce alla ricchezza architettonica ed artistica una soluzione idraulica incredibilmente ingegnosa pensando che è stata pensata e realizzata quasi 1000 anni fa.

 

il nome  Angkor Wat spesso viene usato per identificare l’insieme dell’area dei templi. In realtà “Wat” sta per “tempio” e quindi il suo significato è “il tempio di Angkor”.

 

Se il “Tempio di Angor” è il più famoso, ed è diventato il simbolo della Cambogia, vi sono molti altri templi la cui bellezza colpisce.

 

Uno tra quelli che mi ha colpito in modo particolarmente è quello di Preah Khan. La ricchezza delle decorazioni in bassorilievo, la brutale conquista che alcuni enormi alberi con le loro radici hanno fatto nei secoli della costruzione degli uomini, il fascino di un tempio in parte crollato sotto l’azione del tempo, impressionano.

L’aiuto casuale di un custode che mi ha guidato nella scelta delle posizioni da cui fotografare ha di sicuro contribuito a produrre gli scatti più belli.

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