Camosci

Cercar marmotte e trovar camosci sull’Altipiano di Asiago

La piacevole sorpresa all’alba sotto il Monte Fior (Altipiano di Asiago)

Capita che passi di lì all’ora giusta e ti trovi 13 camosci che tranquillamente brucano l’erba. Ti vedono ma non sentono il tuo odore perché il vento ti aiuta. Anziché allontanarsi addirittura si avvicinano un po’, capito che non sei una minaccia. Hai quasi un’ora per fare tranquillamente foto (la prima alle 6:22 e l’ultima alle 7:09), nella speranza, vana, che il sole scavalchi la Cima di Monte Fior e crei quella luce calda sul corpo dei camosci che avrebbe trasformato delle belle foto in foto straordinarie. Accontentiamoci così, per ora.

Tutti comincia con una sveglia alle 4:15 del mattino in una giornata di agosto e una buona colazione.

Viaggio in auto dal colle del Gastagh a Malga Slapeur (45°55’12.9″N 11°35’17.3″E), dove arrivi verso le 5:00. In mezzo al silenzio assoluto che c’è in quota a quell’ora, il rumore dell’auto sveglia i malgari che escono con una pila accesa per capire cosa diavolo succeda a quell’ora del mattino.

Capito che si tratta di un matto che sta solo andando a far foto, tornano a letto tranquillizzati.

Intanto i pastori maremmani, lasciati liberi per contrastare i frequenti assalti dei lupi alle pecore della malga, abbaiano a più non posso ma non assalgono l’incauto visitatore.

Prendi il sentiero che porta a Casara Montagna Nova (45°54’35.2″N 11°36’11.7″E), attraverso quel posto incredibile che è la cosiddetta Città di Pietra sotto Monte Fior, con le sue forme modellate dalla natura in migliaia di anni.[/vc_column_text][vc_single_image image=”3704″ img_size=”large” add_caption=”yes”][vc_column_text]Sono appena 2,3 km con un dislivello di poco più di 100 metri.

Sei andato lì per cercare marmotte da fotografare al loro risveglio. Ne vedi solo una che scappa subito prima che tu abbia il tempo di prendere in mano la macchina fotografica.

Il panorama è incredibile con le luci che passano dai colori violacei dell’ora blu ai colori più caldi mano a mano che si avvicina il sorgere del sole.

Cerchi marmotte e trovi camosci

Subito sotto Casara Montagna Nova ricevi in dono la vista di 13 camosci al pascolo che si lasciano fotografare per quasi un’ora.

Rientri verso l’auto a Malga Slapuer dove, dopo un caffè caldo quanto mai necessario ed apprezzato, compri una forma intera di formaggio pecorino stagionato da oltre 3 Kg. Dio abbia un occhio di riguardo per i malgari che producono questi straordinari formaggi di montagna.

Eterogenesi dei fini: cerchi marmotte e trovi camosci. É andata più che bene così.

 

Attrezzatura fotografica: Canon EOS 7D, Obiettivo Canon EF 100-400mm f4.5-5-6L IS II USM

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Acque del Chiampo

L’acqua che scorre trasmette un senso di rilassatezza e di benessere. Quando a scorrere è l’acqua di un ruscello di montagna, immerso nel verde di una vegetazione lussureggiante, con salti d’acqua sulle rocce e con vere e proprie cascate, allora il piacere trasmesso viene esaltato ancor più.

Catturare le immagini dell’acqua in movimento in modo da fissarne le emozioni provate ammirandole da vivo, non è semplice. Di sicuro perdi i profumi e i rumori del bosco, a partire proprio dal rumore dell’acqua che scende e si frange sui sassi, salta giù fragorosamente dai dislivelli che creano le cascate, indugia di tanto in tanto in qualche anfratto come a riposare un pò.

Il torrente Chiampo non fa eccezione alla regola di tutti i corsi d’acqua di montagna, almeno nella sua parte più alta, da quando sorge vicino a Passo Scagina in alta valle del Chiampo fin giù almeno fino a Ferrazza di Crespadoro passando per le contrade di Campodalbero.

E quello che non fanno le acque del Chiampo lo fanno alcuni dei suoi affluenti sia nella valle che scende da Durlo che quelli che scendono da Campodalbero.

Fotografare l’acqua che scorre spinge a catturarne l’attimo, con tempi di esposizione molto rapidi per immobilizzare la singole goccia. Ma porta anche a creare quell’effetto setoso, con lunghi tempi di esposizione, come se l’acqua si fosse fermata per farmi ammirare meglio e spingerci a rilassarci ancor di più.

E l’acqua poi ha altre forme, oltre a quella liquida, perché diventa vapore, nebbia, foschia oppure diventa ghiaccio.

Queste foto, fatte nel corso degli anni, con attrezzature di varia qualità e con gradi diversi di perizia fotografica, provano a raccontare momenti dello scorrere dell’acqua del Chiampo e dei sui affluenti nelle varie stagioni.

La luce nel bosco spesso è difficile da gestire: molto buio unito a rasoiate di luce di sole che crea contrasti di luce che nessuna macchina fotografica può catturare.

Grazie a qualche software riusciamo a comprimere gamme tonali estese, recuperando dettaglio sia nelle ombre che nelle alte luci.

Arte mimetica per definizione, direbbe il vecchio Platone, imitazione infedele della realtà. Ma che importa se le foto riescono almeno a trasmettere quelle sensazioni di piacere, benessere e rilassatezza, che si sono vissute davanti allo scorrere reale dell’acqua.

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Gole di Tolmin

Le Gole di Tolmin e i ricordi di papà e suocero

Quante volte ho sentito parlare da mio padre di Tolmino. Aveva fatto lì il militare in un’altra era e in un altro mondo. Era il 1930 è Tolmino era ancora in Italia come lo era Caporetto luogo della drammatica disfatta dell’esercito Italiano nel 1917, che lì vicino a 16 chilometri.

Anche in quegli anni l’etnia prevalente era quella slovena, ma era comunque territorio italiano.

Anche il papà di mia moglie ha fatto il militare a Tolmino, giusto 10 anni dopo, a partire dal 1940.

All’ingresso in guerra dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, nel 1941, venne trasferito direttamente da lì al fronte.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale quella zona è diventata parte di quella che fu la Jugoslavia e, dopo la sua dissoluzione negli anni ’90, è oggi parte della Slovenia.

M’è sembrato giusto andarci, per capire se e cosa sia rimasto dei tempi andati e per provare a respirarne, nel caso, il clima. 

 

L’impressione dopo un paio d’ore di visita è che non sia rimasto nulla di nulla. La storia di tante parti d’Europa è la storia di città e regioni passate nel corso del tempo da uno Stato all’altro, con il cambio di culture dominanti, di lingua e, talvolta, anche di religione.

Tolmino è solo un piccolo caso tra i tanti e neppure tra i più rilevanti di questi cambiamenti radicali.

Il nome in sloveno oggi è Tolmin (in friulano Tulmin, in tedesco Tolmein), così come Caporetto è diventata Kobarid (in friulano Cjaurêt, in tedesco Karfreit).

I nomi seguono le cose. Non pare esserci traccia della precedente presenza italiana. Non parliamo delle caserme che oltre 80 anni fa hanno ospitato mio padre e mio suocero.

È un piccolo paesotto di 12.000 anime abitato da sloveni che parlano la loro lingua ma non l’Italiano.

Invece tutte le persone incontrate, forse è un caso forse no, parlavano un ottimo inglese sia che si trattasse di giovani che di persone di mezza età.

Tolmino è brutto, con edifici nel centro del paese proprio brutti, della peggior architettura anonima che si possa immaginare.

Mi ha colpito il contrasto tra la bruttezza architettonica e la ottima padronanza dell’inglese delle persone incontrate unita a una generale gentilezza, disponibilità, simpatia.

 

L’attrazione principale di Tolmin oggi sono le Gole di Tolmin, all’interno del Parco Nazionale di Triglav.

Uno spettacolo della natura tra rocce, acque impetuose dai colori sovrannaturali, piante, fiori, cascate, grotte profonde.Basta un’ora di trekking leggero per provare questo piacere e pensare, melanconicamente, che questa sarebbe potuta essere ancora Italia.

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